Il legame tra intelligenza e depressione è stato a lungo ipotizzato e studiato. La realtà, infatti, è solita suggerire l’immagine di persone intelligenti introverse e poco inclini alla risata. Tra queste persone troviamo Hemingway, Emily Dickinson, Virginia Woolf, Edgar Allan Poe o Mozart. Si tratta di menti geniali, creative ed eccezionali, che però non sembravano felici. Questi personaggi e le loro vite hanno suggerito l’idea di un legame tra intelligenza e depressione. C’è qualcosa di vero in questa idea? Se lo chiedono in molti. In questo articolo vogliamo esaminare il punto di vista di alcuni esperti in materia.
Le persone intelligenti, la felicità e la depressione
Le persone intelligenti non fanno sempre scelte perfette. Anzi, spesso, queste persone fanno scelte sbagliate quando si tratta della loro felicità. Come mai?
Diversi studi hanno dimostrato che un elevato Q.I. non causa la depressione. Tuttavia, è possibile che questo altissimo quoziente intellettivo induca alcuni comportamenti. Questi comportamenti sarebbero poi dei fattori predisponenti alla depressione. Cerchiamo di capire meglio questa questione. Ma se volete saperne di più sulla misurazione del Q.I. potete leggere questo articolo.
Alcuni anni fa, la neurologa Andrasen svolse uno studio sulle personalità di coloro che hanno un Q.I. superiore alla norma. Da qui comprese che vi è una tendenza piuttosto significativa dei geni della nostra società a sviluppare vari disturbi: in particolare disturbi bipolari, depressione, crisi d’ansia, attacchi di panico.
Non si tratta di un’intuizione nuova, poiché la sosteneva anche lo stesso Aristotele nell’antica Grecia. Tuttavia, stavolta, non si tratta solo di un’opinione ma di uno studio meticoloso e dettagliato. Capita, dunque, che nella società vivano geni incompresi, con menti eccelse, eppure molto infelici. Queste persone non riescono a connettersi con il mondo circostante. La realtà appare loro come caotica, infelice, crudele e spietata. Per questi motivi, loro non riescono ad inserirvisi, restando così bloccato in una situazione di solitudine, che non permette di raggiungere la felicità.
Intelligenza e depressione: gli studi sulle menti geniali
Le persone con menti geniali sono diventate, in alcuni casi, molto famose. Purtroppo, questa fama non ha permesso loro di diventare felici e soddisfatti. Questo è accaduto, per esempio, a personalità come quelle citate all’inizio del nostro articolo. Geni come Sir Isaac Newton, Arthur Schopenhauer o Charles Darwin vissero periodi di nevrosi e psicosi. Virginia Woolf, Ernest Hemingway e Vincent Van Gogh finirono per togliersi la vita.
Dati questi fatti, alcuni tra i migliori esperti di ogni epoca cercarono di comprendere la relazione tra genialità e depressione. Il noto Freud, insieme alla figlia, studiò la vita di un gruppo di bambini con il Q.I. superiore a 130. In questo gruppo, il 60% dei bambini, una volta cresciuti, sviluppò disturbi depressivi.
Nefli anni ’60, Terman iniziò a studiare un gruppo di bambini chiamati “terminiti“. Si trattava di bambini estremamente intelligenti. Dopo una trentina d’anni dall’inizio dello studio, i partecipanti ammisero che buona parte di loro aveva tentato il suicidio. Mentre solo pochi di loro erano riusciti a condurre una vita soddisfacente, la maggior parte si diceva infelice. Alcuni vivano di dipendenze da alcool, droga o altre sostanza.
Dunque, tra intelligenza e depressione pare esserci una sorta di sfumato legame. Dagli studi è emerso che le persone estremamente intelligenti sono anche molto sensibili. Non solo sensibili ai problemi del mondo, ma anche ad aspetti che ai più non interessano. Per esempio, una mente geniale riesce a sentirsi ferita da comportamenti egoisti o illogici. Inoltre, non tollera le azioni prive di senso, anche se queste non hanno relazione con la sua persona. Come se non bastasse, queste menti tendono a vedere le loro vite come se fossero un film: sono loro estranei.